mercoledì 30 marzo 2011

Il Card. Ferdinando Antonelli e la Commissione per la Riforma Liturgica

Il Cardinale Giuseppe Ferdinando Antonelli nacque il 14 luglio 1896. Il 25 luglio 1914, a 18 anni, veste l’abito francescano.

Il 25 luglio 1922 diventa sacerdote. Presso l’Antonianum, fu professore di Storia ecclesiastica antica e di Archeologia. Fu professore di Liturgia presso l’Istituto Internazionale dei Padri Carmelitani Scalzi e all’Apostolicum. Il 22 febbraio 1930 viene nominato Consultore della Sacra Congregazione dei Riti per la sezione storica, di cui, nel 1935 diviene Relatore Generale. Nel 1948 fu nominato membro della Pontificia Commissione per la riforma liturgica, compito che assolse fino al 1960. Durante il Concilio Vaticano II fu Perito e Segretario della Commissione Conciliare della Sacra Liturgia (con nomina il 4 ottobre 1962): la commissione che preparò lo schema della Sacrosanctun Concilium da presentare ai Padri conciliari.
Il 27 febbraio 1964, fu nominato Membro del “Consilium ad exequendam Constitutionem de S. Liturgia”. Il 26 gennaio 1965 venne nominato Segretario della Sacra Congregazione dei Riti.
Risultano molti suoi scritti de “re liturgia”, come anche due manuali di Liturgia preparati dall’Antonelli pla riforma liturgica grazie alla splendida figura di questo Cardinale che aveva una grande competenza liturgica, era molto stimato da Papa Paolo VI e partecipò in prima persona sia ai lavori per la stesura della Sacrosanctum Concilium, sia ai lavori del su indicato Consilium che aveva il compito di applicare la riforma.
er gli allievi. Si tratta di una figura non solo di alto profilo e di grande competenza liturgica, ma anche di grande comunione con la Chiesa: fu nominato Vescovo il 21 febbraio 1966 e ordinato dallo stesso Papa Paolo VI il 19 marzo successivo. Sette anni più tardi, sempre Papa Paolo VI, sotto il cui pontificato è avvenuta la riforma liturgica, nel Concistoro del 5 marzo 1973, lo creava Cardinale. Il libro di Nicola Giampietro sul “Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970” (pubblicato dal Pontificio Ateneo S. Anselmo, con la prefazione di Aimé Georges Martimort) è uno strumento prezioso per avere, dall’interno, informazioni chiare e sicure su come si è sviluppata
CHE COS’È
IL “CONSILIUM”
“Tutte le riforme si attuano per Decreto, così la Costituzione Liturgica del Concilio è stata seguita dall’Istruzione “Inter Oecumenici” che indica le norme pratiche di attuazione” (op. cit., p. 223). “Il 25 gennaio 1964, Papa Paolo VI con il Motu proprio “Sacram Liturgiam” istituiva una Commissione che aveva il compito principale di attuare nel modo migliore le prescrizioni presenti nella Sacrosanctun Concilium.
Il nuovo organismo detto “Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, era composto anzitutto dai Cardinali Giacomo Lercaro (presidente), Paolo Giobbe e Arcadio Larraona; il segretario era il P. Annibale Bugnini. (FOTO) C’erano poi 200 consultori tra cui 6 protestanti: il dr. Georges, il canonico Jasper, il dr. Shepard, il dr. Konneth, il dr. Smith e fr. Max Thurian i quali per esplicita testimonianza din Mons. W.W. Baum (oggi cardinale) non furono semplici osservatori ma ebbero un ruolo attivo nella creazione della nuova messa (cfr. intervista al Detroit News del 27/06/1967). Delle prime adunanze di questo Consilium si parla nel diario dell’Antonelli e si deduce che egli prese parte attiva al momento progettuale e  decisionale” (op. cit., p. 225). Si ritiene di dover nominare dei consultori: “Non saranno pochi. Più ancora i Consiliari che dovranno esaminare gli schemi. I nomi dei Consultori non saranno pubblicati.
/…/
1^ ADUNANZA
Al termine della prima adunanza l’Antonelli annota: “Non sono entusiasta dei lavori. Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti, più ancora avanzata nelle linee della novità. Discussioni molto affrettate.
Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. Ciò che più mi dispiace è che i Promemoria espositivi e i relativi quesiti sono sempre su una linea avanzata e spesso in forma suggestiva.
Direzione debole. Spiacevole il fatto che si riaccende sempre la questione dell’art. 36 § 4. Mons. Wagner era inquieto. Mi dispiace che questioni, forse non tanto gravi in sé, ma gravide di conseguenze, vengano discusse e risolte da un organo che funziona così. La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri” (op. cit., pp. 228-229)
2^ ADUNANZA
“I rilievi dell’Antonelli rivelano il clima nel quale si lavorava. Si viene a sapere che non c’erano solo discussioni su determinati problemi, ma che si facevano anche degli esperimenti liturgici veri e propri”(op. cit., p. 230). /…/
3^ ADUNANZA
“Dispiace lo spirito che è troppo innovatore.
Dispiace il tono delle discussioni troppo sbrigativo e tumultuario talvolta.
Dispiace che il Presidente non abbia fatto parlare, domandando a ciascuno il parere”(op. cit., p. 230).
5^ ADUNANZA
“Si proponeva di togliere il Confiteor dalla S. Messa. Dopo un intervento dell’Antonelli si decide che ci deve essere un atto penitenziale nella Messa e all’inizio. Si discute sul Kyrie e Gloria, sulla Liturgia Verbi e sull’offertorio. “Mi dicono che per l’offertorio è stato rilevato come il passo dei Proverbi 9, 1-2, sia cosa artificiale. Ma questo è proprio il sistema deprecato di Durando de Mende, di prendere cioè dei passi della Scrittura solo perché vi ricorre la parola di un rito. Nella Sapienza, i vini e i cibi sono i consigli e la dottrina che derivano dalla Sapienza, che cosa ha da vedere con l’Eucaristia? /…/ A conclusione della quinta sessione l’Antonelli esprime un giudizio preoccupato: “Lo spirito non mi piace. C’è un spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma quello che fu detto della riforma degli inni al tempo di Urbano III: “accepit latinitas recessit pietas”; e qui accepit liturgia recessit devotio”. Vorrei ingannarmi”
(op. cit., pp. 233-234).
6^ ADUNANZA
“Nelle ordinazioni si decide, con poca maggioranza, che i concelebranti impongano solo le mani (la materia) senza dire la formula (la forma). A mio modo di vedere la questione è grave e non si può permettere quanto è stato proposto da Dom Botte” (op. cit., pp. 234-236).
7^ ADUNANZA
“A questa Sessione, per la prima volta, hanno partecipato osservatori delegati di chiese protestanti. /…/ In merito all’ordinazione sacerdotale l’Antonelli osserva con sorpresa che, nell’allocuzione del Vescovo agli ordinandi, che è nuova, tra gli uffici del sacerdote non è citato il suo impegno principale: offrire il sacrificio eucaristico. Osserva che anche l’espressione usata dal Vescovo subito dopo per indicare agli ordinandi cosa devono fare “è una formula vaga e non si può accettare. Bisogna ammettere chiaramente che il sacerdote ha il preciso ufficio di offrire il sacrificio eucaristico”. Dopo un altro incontro di studio il Padre Antonelli annota: “Ho l’impressione che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza.
C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti con urgenza” (op. cit., pp. 236-237).
8^ ADUNANZA
“Nell’adunanza del 19 aprile 1967, Paolo VI intervenne personalmente e parlando del cammino in corso dell’attuazione della riforma liturgica, Paolo VI si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e più addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia.
Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose in questa riforma del Consilium”. /…/ È pessimo il sistema delle discussioni: a) gli schemi spesso vengono prima della discussione.
Qualche volta, e in cose gravissime, come quella delle nuove anafore, è stato distribuito uno schema la sera, per discuterlo l’indomani. b) Il Card. Lercaro non è l’uomo per dirigere una discussione.
Il P. Bugnini ha solo un interesse: andare avanti e finire. c) Peggiore il sistema delle votazioni. Ordinariamente si fanno per alzata di mano, ma nessuno conta chi l’alza e chi no, e nessuno dice tanti approvano e tanti no. Una vera vergogna. Non si sa quale maggioranza sia necessaria, se dei due terzi o quella assoluta. Altra mancanza grave è quella che manca un verbale delle adunanze. /…/ Viene deciso di rivedere la struttura e l’ordinamento del “Consilium”. /…/ Ecco cosa – tra l’altro - l’Antonelli scrive al Papa: “a) è molto diffusa, in gran parte del clero e dei fedeli, una notevole inquietudine per queste continue mutazioni. b) Questo stato di instabilità /…/ favorisce gli arbitri e abbassa sempre più il rispetto sacro delle leggi liturgiche. c) Gli esperimenti è necessario che siano pochi, limitati nel tempo e riservati a pochissimi ambienti qualificati, con persone responsabili.
Esperimenti in vasta scala e la larghezza, forse con la quale sono stati permessi, ha fatto sì che non pochi sacerdoti, un pò dovunque, si ritengano autorizzati a tentare le cose più stravaganti, con il pretesto che si fanno ad experimentum. d) È cosa nuova che un organo della S. Sede prepari da sé il suo statuto e lo approvi e che il Papa soltanto lo confermi. e) Nella nomina dei componenti il Consilium, compresi i Cardinali, come dei suoi Consultori e dei suoi organismi, per i quattro quinti la scelta è fatta dallo stesso Consiglio di Presidenza e al Papa spetta solo la conferma (è chiaro che se vuole può non confermare, ma in pratica è la scelta che determina). Il Papa così può scegliere direttamente e nominare solo una quinta parte, compresi, ripeto, i Cardinali. Queperché anche dopo Trento e il Vaticano I, terminato il Concilio, fu la Santa Sede che tornò ad avere piena autonomia” (op. cit., pp. 237-242).
RILIEVI FINALI
SUL “CONSILIUM”
“In uno scritto relativo a tutto il 1967, Mons. Antonelli espone le sue impressioni sulla situazione interna ed esterna al “Consilium”: 1) Confusione. Nessuno ha più il senso sacro e vincolante della legge liturgica. I cambiamenti continui, imprecisi e qualche volta meno logici, e il deprecabile sistema, secondo me,degli esperimenti, hanno rotto le dighe e tutti, più o meno, agiscono ad arbitrio; 2) c’è stanchezza. Si è stanchi delle continue riforme e si desidera da tutti di arrivare ad un punto fermo; 3) negli studi di più vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione e che ora chiamano secolarizzazione; 4) da qui si vede che la questione liturgica /…/ si inserisce però a sua volta in una problematica molto più vasta, e in fondo dottrinale; 5) la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero” (op. cit., pp. 242-243). “l’Antonelli fa emergere il suo disappunto per le varie prese di posizione nei confronti della riforma liturgica perché pone la liturgia a fondamento della formazione cristiana e quindi si aspettava che la riforma liturgica venisse applicata seriamente con una certa calma e ponderato equilibrio” (op. cit., p. 247).
LA VERA RIFORMA
DEL CONCILIO?
Nei suoi appunti l’Antonelli ci aiuta a vedere quali erano i punti sui quali i Padri si basarono per stilare la Costituzione liturgica.
Dopo averne fatto l’elenco dettagliato egli, nei suoi appunti, sottolinea in rosso il problema della lingua volgare, quasi a significare l’importanza dell’argomento e i contrasti che ha generato. “Si tratta di due valori in conflitto. Il latino è certamente la lingua della liturgia latina da circa 1600 anni; è un segno e coefficiente anche di unità; è anche tutela della dottrina, non tanto per l’indole della lingua quanto perché si tratta ormai di una lingua che non è più soggetta a mutazioni; molti testi d’incomparabile bellezza non potranno mai avere nella traduzione la stessa efficacia; al latino finalmente è legato un patrimonio preziosissimo, quello melodico, gregoriano, polifonico. Dall’altra parte è fuori di dubbio che se vogliamo riportare i fedeli, tutti i fedeli, ad una partecipazione diretta, cosciente e attiva, bisogna rivolgersi a loro nella lingua che essi parlano.
La Costituzione ha scelto l’unica soluzione possibile in tali casi: la soluzione del compromesso: per certe parti, come il Canone, resta il latino; per le altre, quelle soprattutto che più direttamente si rivolgono al popolo, con le letture, la restauranda “oratio fidelium”, si introduca il volgare” (op. cit., p. 206).

Fonte: Fedeecultura

lunedì 21 marzo 2011

LA TRADIZIONE E LE FONTI DELLA RIVELAZIONE

Definizione e divisione

La nostra fede pone le fondamenta sulla roccia sicura che è Cristo il quale magnificamente portò a compimento il sacrificio offerto al Padre per la nostra salvezza lasciando a Pietro ed ai suoi apostoli il compito di tramandare la sua Divina Rivelazione non senza continuare l’opera nella Persona dello Spirito Santo.
Questo tesoro incommensurabile, il deposito della fede, (depositum fidei) viene tramandato di generazione in generazione per mezzo del magistero della santa Chiesa cattolica che il Redentore volle fondata Santa ed unica su Pietro.
Essa, sempre eterna e feconda trasmette, (dal latino tradere appunto trasmettere) con l’assistenza sicura dello Spirito Santo la Verità rivelata da Nostro Signore Gesù.
La tradizione, nella nostra fede, rappresenta una delle due fonti della rivelazione, la Chiesa è l’organo deputato proprio alla sua trasmissione e da queste prime parole già si evince l’importanza e la sacralità del compito affidato alla Chiesa ed al suo magistero nella persona di Pietro e  di tutti gli apostoli chiamati a non cambiare neanche una virgola della parola rivelata.
Gli strumenti atti alla trasmissione del deposito sono il simbolo della fede, gli scritti dei Padri, la pratica della Chiesa, gli atti dei martiri e i monumenti archeologici.
L’altra fonte della rivelazione è naturalmente la Sacra Scrittura.
Della Tradizione dobbiamo tenere in considerazione due aspetti non disgiungibili tra loro, pena cadere in errori modernisti, uno formale riguardante l’organo vivo quali le persone e l’istituzione ecclesiastica, l’altro materiale riguardante l’oggetto della trasmissione cioè la dottrina ed i costumi.
Separando o dando un primato all’aspetto soggettivo si incorrere nel pericolo di scambiare la Tradizione “vivente” con il magistero vivente (del papa regnante) considerandola “cangiante”.
Il magistero della Chiesa è vivente e cangiante ma non lo è di certo il contenuto della Tradizione che appartiene tutto al suo Rivelatore e che vive in eterno secondo le stesse parole di Cristo che dice: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Matteo 24:35
La Tradizione si divide in:
a)      Tradizione divina
b)      Tradizione divino-apostolica
La tradizione divina è l’insieme degli insegnamenti e precetti direttamente rivelati a oralmente da Nostro Signore Gesù agli Apostoli, mentre quella divina-apostolica è quella che gli Apostoli ricevettero dallo Spirito Santo.
Noi, pertanto, riceviamo per mezzo del magistero della chiesa cum Petro e sub Petro ciò che gli Apostoli trasmisero ai primi discepoli, compito del magistero è quello di tramandare questi insegnamenti divini nel tempo ai fedeli mantenendoli inalterati.

Lo Spirito Santo e la Tradizione vivente

Fondamentale nella trasmissione del deposito è l’assistenza dello Spirito Santo il quale “v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26) dice il Signore, infatti lo Spirito ricorderà ogni cosa detta dal Signore poiché prende dal Signore e lo testimonia per mezzo della Chiesa.
Ma la tradizione si esaurisce con la morte dell’ultimo Apostolo pertanto lo Spirito Santo non aggiungerà nulla di quanto già detto da Gesù, è ovvio, è necessario dunque che questa tradizione si trasmetta in modo omogeneo ed intatto tenendo conto di confrontare eventuali “novità” secondo quanto insegna il Concilio Vaticano I: Dei sacri dogmi, quindi è da ritenersi sempre quel significato che ha determinato una volta la santa madre chiesa e non bisogna mai allontanarsi da esso, a causa e in nome di una conoscenza più alta.
Cresca pure, quindi, e progredisca abbondantissimamente, per le età della storia, l’intelligenza, la scienza, la sapienza, sia dei singoli che di tutti, di ogni uomo e di tutta la chiesa, ma solo nel suo ordine, nello stesso dogma, nello stesso senso e nello stesso modo di intendere, come disse San Vincenzo di Lerino (Commonitorio 28- eodem sensu et in eadem sententia).
Lo stesso padre diede una definizione del modo di intendere le novità la quale prevedeva di preoccuparsi che esse siano state credute sempre, ovunque e da tutti.(Commonitorio II)
Nella lettera Apostolica Munificentissimus Deus, meravigliosamente Papa Pio XII scrisse: Il magistero della chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l'assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv 14,26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. "Infatti, come insegna il concilio Vaticano, (il primo naturalmente) ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della fede" 
Solo mantenendo questa continuità di insegnamento la Tradizione risulta viva, questa vitalità va intesa solamente nella continuità con la dottrina ricevuta dagli Apostoli tenendola sempre distinta dal magistero vivente come sopra specificato.
La Tradizione è immutabile, sempre vera ed unica come immutabile, sempre vero ed unico colui che la Rivelò, interrompere questa continuità significa uccidere la Tradizione, essa rimane viva solo se conserva la sua natura.
Il magistero pertanto ha il compito di trasmettere ciò che ha ricevuto mantenendo inalterato il contenuto della rivelazione, i modernisti confondendo la Tradizione con il Magistero vivente la intendono come evolutiva, cangiante, eterogenea nella sostanza.

Il magistero vivente

E’ evidente che il magistero vivente è tale per il susseguirsi dei Papi fino alla fine del mondo, esso, come abbiamo detto è il custode del deposito e si esplica attraverso diversi strumenti tra i quali il dogma è il più importante.
Il dogma è una verità rivelata da Dio contenuta nelle due fonti della Rivelazione che ne  rappresentano il contenuto materiale (dogma materiale) e proposta a credere ai fedeli come necessaria per la salvezza dal Magistero della Chiesa che ne costituisce il dogma formale.
Chiunque neghi l’assenso a ciò che è definito dalla Chiesa come dogma formale è ritenuto eretico ed è ipso facto scomunicato.
La definizione dogmatica è appunto la dichiarazione con cui la Chiesa obbliga i fedeli a credere una verità rivelata.
Tale definizione può avvenire attraverso il magistero ordinario del Papa in maniera non solenne quanto al modo, ma evidentemente obbligante nella sostanza essendo o una verità rivelata da Dio o insegnata universalmente e costantemente da tutta la Chiesa, oppure attraverso il magistero straordinario o solenne quanto al modo ad esempio con un concilio ecumenico od una dichiarazione ex cathedra.
Altresì Pio IX nella sua lettera, Tuas libenter, indirizzata al vescovo di Monaco spiega che “quella obbedienza che concretamente si deve alla fede divina, ….. non si dovrebbe limitare alle verità espressamente definite da decreti dei Concili ecumenici o dei Romani Pontefici e di questa Sede Apostolica, ma deve estendersi anche alle verità che dal magistero ordinario della Chiesa, diffusa in tutto il mondo, vengono trasmesse come divinamente rivelate, e perciò dal comune e universale consenso dei Teologi cattolici sono ritenute materia di fede”.
Ricapitolando possiamo dire che il magistero è al suo più alto livello quando è straordinario o solenne mentre è ad un livello ordinario se è del Papa e dell’episcopato sparso su tutta la terra (magistero ordinario universale).
Pio IX racchiude il magistero ordinario infallibile entro il consenso teologico universale e costante in materia di fede. Universalità e costanza (oltre il proporre a credere come rivelato) sono la legge del magistero ordinario infallibile come pure della Tradizione (“semper, ubique, ab omnibus” Commonitorio II). Condizione indispensabile del magistero ordinario infallibile è che il Papa o il Papa e i vescovi sparsi fisicamente ciascuno nella propria diocesi, ma uniti dottrinalmente al Papa, espongano e trasmettano ai fedeli un medesimo ininterrotto insegnamento come dottrina rivelata o strettamente derivata dalla Rivelazione e quindi universalmente e costantemente ritenuta dalla Chiesa.
Da questo non si può però dedurre che il magistero ordinario sia sempre infallibile, se non ricorrono le condizioni suddette esso è infallibile solo se il Papa vuole proporre una verità come rivelata e costantemente ritenuta nella Chiesa cattolica.
L’infallibilità ,di cui ormai si vuol insignire ogni insegnamento papale, tranne quelli antecedente al CVII evidentemente, al fine di stravolgere le menti di coloro che troppo docilmente seguono la creatura piuttosto che il Creatore, presuppone la volontà di definire, obbligando a credere come dogma una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il magistero è la regola prossima della fede, mentre Scrittura e Tradizione ne sono la regola remota.
Infatti, è il magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà ciò che è contenuto in essa come oggetto di fede, per la salvezza eterna.

Conclusioni

Il magistero quindi custodisce, spiega ed interpreta la Parola di Dio scritta ed orale, e il concetto di vera Tradizione è sempre collegato all’assistenza di Dio ed al magistero a patto che esse vengano  considerate in maniera distinta.
Il vero senso della Tradizione lo si avrà tenendo uniti i suoi due aspetti, quello soggettivo/formale con quello oggettivo/materiale come sopra detto, facendo prevalere il primo si corre il rischio di incorrere nell’evoluzione eterogenea del dogma, assolutizzare il secondo potrebbe condurre al rischio di non discernere tra vera e falsa tradizione come nell’evidente caso della comunione sulla mano.
Tra magistero e Tradizione vi è distinzione ma non separazione perché la Chiesa possiede e trasmette la Scrittura e la Tradizione.
Da tutto ciò risulta la parte essenziale che svolge il magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale.

                                                                                                                      Stefano Gavazzi
Fonte: SiSiNoNo 31/05/2010 n°10

mercoledì 16 marzo 2011

Tradizione Cattolica

Questo blog, come tanti altri, si inserisce nella lotta contro satana ed i suoi accoliti ormai presenti in ogni ambito non escluso quello della gerarchia della Chiesa Cattolica.
Gli argomenti trattati saranno esclusivamente rivolti alla difesa della sana dottrina cattolica insegnata infallibilmente fino al CVII che segnò l'attuale crisi della Chiesa.
Poco sarà riportato del mio pensiero mentre molto sarà citato dei Padri, dei dottori e del magistero bimillenario della Chiesa che ha contraddistinto la sua gloriosa storia quale sposa di Nostro Signore Gesù Cristo che vive e regna anche sopra a quanti continuano a  negare la sua regalità.
A scanso di ogni equivoco, al fine di  zittire da subito i nemici di Cristo e della Chiesa, lupi travestiti da agnelli, modernisti e progressisti, si riporta la mia professione di fede e di seguito il giuramento antimodernista del grande papa San Pio X.
io "Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica.
Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen"

Inoltre io Stefano Gavazzi fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli
errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo
perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi,compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la, fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua
autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.
Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione
cristiana.

Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede
del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno prolungano nelle età  posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è che sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli3, non perché si assuma quel che sembra
migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa.
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.


                                                                              In fede
                                                                        Stefano Gavazzi