venerdì 29 marzo 2013

"Reverendi e cari Padri". Lettera aperta di Monsignor Williamson...

"Reverendi e cari Padri". Lettera aperta di Monsignor Williamson...



Fonte: Unavox...
LETTERA APERTA AI SACERDOTI

DELLA FRATERNITA’ SAN PIO X

di S. Ecc. Mons. Richard Williamson

28 marzo 2013
 
Che Reverendi e cari Padri,

La recente pubblicazione della
Dichiarazione Dottrinale, indirizzata dal Consiglio Generale della Fraternità San Pio X alle autorità della Chiesa a Roma, il 15 aprile dell’anno corso, conferma i nostri peggiori timori.
Abbiamo aspettato quasi un anno per sapere cosa contenesse.
Essa prova una volta per tutte che l’attuale dirigenza della Fraternità San Pio X intende condurre quest’ultima lontano dalla direzione fissatale da Mons. Lefebvre, e verso le idee e gli ideali del Concilio Vaticano II.

Nonostante siate occupati col vostro ministero quotidiano, la cosa finisce col riguardare anche voi, perché sta ad indicare che, sotto la guida dei Superiori, le anime affidate alla vostra cura, e voi stessi, venite guidati verso e anche nella grande apostasia dei tempi moderni.
Ricordiamoci che sono i Superiori che fanno i sottoposti e non viceversa.
Non abbiamo visto un certo numero di buoni sacerdoti della Fraternità rinunciare, uno dopo l’altro, alla battaglia per la Fede, dove sappiamo li aveva condotti Mons. Lefebvre, e muoversi invece con la corrente, secondo quel deciso e molto diverso andamento che da alcuni anni fluisce dai vertici verso la base della Fraternità?

Un’analisi dettagliata conferma il pericolo rappresentato da ognuno dei paragrafi della Dichiarazione, come indicato solo brevemente qui di seguito: -

I - La fedeltà promessa alla “Chiesa cattolica” e al “Romano Pontefice” oggi può facilmente essere mal diretta verso la Chiesa conciliare come tale e verso i Pontefici conciliari. Per evitare la confusione sono necessarie delle distinzioni.

II - L’accettazione degli insegnamenti del Magistero in conformità con Lumen Gentium 25, tenuto conto della Professione di Fede del 1989 menzionata nella nota a pie’ di pagina della Dichiarazione, può facilmente essere intesa come implicante l’accettazione delle dottrine del Vaticano II.
III, 1 - L’accettazione degli insegnamenti del Vaticano II sul Collegio dei Vescovi, contenuti nel capitolo III della Lumen Gentium, costituisce, nonostante la “Nota Praevia”, un passo significativo verso l’accettazione della collegialità conciliare e della democratizzazione della Chiesa.

III, 2 - Il riconoscimento del Magistero come il solo interprete autentico della Rivelazione comporta il grave rischio di sottomettere la Tradizione al Concilio, specialmente quando si rigetta automaticamente ogni rottura tra i due (cfr. il seguente punto III, 5).

III, 3 - Definire la Tradizione “la trasmissione vivente della Rivelazione” è cosa altamente ambigua, e tale ambiguità è sufficientemente confermata dalle parole vaghe riguardo alla Chiesa e dalla successiva citazione dell’altrettanto ambiguo paragrafo 8 della Dei Verbum.

III, 4 - L'affermazione che il Vaticano II “illuminerebbe” la Tradizione, “approfondendo” ed “esplicitando”, è decisamente hegeliana (da quando le contraddizioni spiegano e non si escludono a vicenda?), e rischia di falsificare la Tradizione aggirandola per soddisfare le molteplici falsità del Consiglio.

III, 5 - Il riconoscimento che le novità del Vaticano II debbano essere interpretate alla luce della Tradizione e che non sia accettabile alcuna interpretazione implicante una rottura tra le due, è una follia (Tutte le camicie devono essere blu, e ogni camicia che non sia blu dev’essere considerata come blu!). Questa follia non è altro che l’“ermeneutica della continuità” di Benedetto XVI.
III, 6 - Dare credito alle novità del Concilio Vaticano II come fossero legittima materia di dibattito teologico significa sottovalutare gravemente la loro dannosità. Esse sono suscettibili solo di condanna.

III, 7 - Il giudizio che i nuovi riti sacramentali siano stati legittimamente promulgati è gravemente fuorviante. Specialmente il nuovo Ordo Missae è troppo nocivo per il bene comune della Chiesa perché possa essere una vera legge.

III, 8 - La promessa “di rispettare” il nuovo Codice di Diritto Canonico come legge della Chiesa equivale a rispettare una serie di presunte leggi in diretto contrasto con la dottrina della Chiesa.

Reverendi Padri, chiunque studi questi dieci paragrafi nel loro testo originale può solo concludere che i loro autori hanno rinunciato alla battaglia per la Tradizione di Mons. Lefebvre e nel loro intento hanno fatto proprio il Vaticano II. Voi e i vostri greggi volete essere guidati da tali Superiori?

Non si dica che i primi due paragrafi e gli ultimi tre sono stati ripresi dal Protocollo del 5 maggio 1988 di Mons. Lefebvre, così che questa Dichiarazione gli sarebbe fedele. È risaputo che il 6 maggio egli rigettò tale Protocollo, perché riconobbe di aver fatto troppe concessioni rispetto alla possibilità per la Fraternità di continuare a difendere la Tradizione.

Altro errore è dire che il pericolo è passato perché la Dichiarazione è stata “ritirata” dal Superiore Generale. La Dichiarazione è il frutto avvelenato di quella che è divenuta una mentalità liberale dei vertici della Fraternità, e tale mentalità non è stata riconosciuta, nonostante questo ritiro.

Il terzo fraintendimento consiste nel dire che, poiché non è stato firmato alcun accordo con gli apostati di Roma, non ci sarebbe più alcun problema. Il problema non sta tanto nell’accordo, quanto nel desiderio di un qualche accordo che garantisca alla Fraternità un riconoscimento ufficiale, desiderio che ancora persiste fortemente. Seguendo il mondo moderno nel suo insieme e la Chiesa conciliare, la dirigenza della Fraternità sembra aver perso la sua presa sul primato della verità, specialmente della verità cattolica.
Reverendi Padri, “Ciò che non può essere curato, dev’essere sopportato”. I capi ciechi costituiscono una punizione di Dio. Ciò nonostante, il minimo che si possa fare circa questa disastrosa Dichiarazione è approfondirla insieme a tutto quello che ha condotto ad essa, altrimenti la Fraternità si perde senza che ci se ne accorga. E dopo aver fatto luce su questo disastro è necessario dire la verità alle pecorelle della Fraternità, cioè esporre loro il pericolo a cui il Superiori stanno esponendo la loro fede e la loro salvezza eterna.

A tutti noi della Fraternità, voluta da Mons. Lefebvre come una fortezza della Fede in mezzo al mondo, oggi Nostro Signore pone la domanda di Giovanni 6, 67: “Forse anche voi volete andarvene?

A tutti e a ciascuno di voi imparto di cuore la benedizione episcopale, il vostro servo in Cristo,

+ Richard Williamson, Nova Friburgo [Brasile], Giovedì Santo 2013.

mercoledì 13 marzo 2013

Osservazioni metafisiche e giuridiche sull'abdicazione papale

Qualche giorno fa ho postato un articolo del Prof. Radaelli molto bello, di cui però non condividevo l'ipotesi dell'antipapa dal punto di vista metafisico.
Alcuni giorni dopo lo stesso autore ha sostenuto,  in un altro articolo quasi la certezza di quella ipotesi.
Rimanendo in accordo con gran parte delle cose espresse dal prof. radaelli mi vedo costretto a disoociarmi dalle sue conclusioni.
A tal proposito propongo un interessante articolo, semplice ma efficace, di Don Mauro Tranquillo che spiega come stanno le cose e ciò rispecchia la mia posizione.


Osservazioni metafisiche e giuridiche sull'abdicazione papale
San Celestino V
Celestino V
Si discute in questi giorni sulla possibilità “metafisica”, e non solo giuridica, per un Papa di abdicare. Alcuni vorrebbero che ciò sia semplicemente impossibile, negando quindi bontà morale ed efficacità alla norma giuridica, e prevedendo quindi che il Conclave non potrà eleggere che un Antipapa. Quale fondamento hanno tali asserzioni?
Faremo qui qualche osservazione generale, prescindendo dal problema dell’opportunità e della liceità morale dell’abdicazione di Benedetto XVI, delle conseguenze della medesima e del messaggio che ha fatto passare: queste cose le abbiamo già commentato in un precedente articolo.
Innanzitutto la questione teorica della possibilità per il Papa di lasciare il suo ufficio, sollevata dai teologi al tempo dell’abdicazione di Celestino V, non è più di libera discussione tra cattolici. Sia Celestino V sia Bonifacio VIII hanno emanato una sentenza magisteriale che trancia la questione. Questo argomento d’autorità in teologia è sommo, ecco perché lo citiamo per primo. Ci piace anche riportare il testo del decreto De renuntiatione di Bonifacio VIII (VI Decr., Lib. I, tit. VII, cap. I), emanato nel 1299, che come si vedrà non è semplice norma giuridica ma definizione magisteriale:
«Poiché alcuni curiosi, che discettano delle cose che non giovano molto, e che cercano temerariamente di sapere più del dovuto (contro la dottrina dell’Apostolo), sembravano poco saggiamente porre in preoccupante dubbio che il Romano Pontefice (soprattutto quando si riconosca insufficiente al governo della Chiesa universale, e a sopportare i pesi del supremo pontificato) possa rinunciare al Papato con il suo onere e onore: il nostro Predecessore Papa Celestino V (mentre presiedeva al governo della stessa Chiesa) volendo amputare su questo punto ogni materia di esitazione, dopo aver deliberato con i suoi fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa (del cui numero allora eravamo), dietro nostro e loro concorde consiglio e assenso con l’autorità apostolica stabilì e decretò che il Romano Pontefice può liberamente dimettersi. Noi dunque, perché tale statuto non andasse dimenticato con il corso del tempo, o non capiti che lo stesso dubbio venga di nuovo portato recidivamente nella medesima discussione, abbiamo ritenuto con il consiglio dei nostri fratelli di inserirlo tra le altre costituzioni a perpetua memoria»[1].
Sempre a livello di argomenti di autorità, e quindi determinanti, si deve ricordare che le leggi universali della Chiesa sono infallibili (in senso negativo), cioè non possono essere in contrasto con il diritto divino o naturale, né portare al male, né violare la realtà metafisica. L’istituto dell’abdicazione papale è, come tutti ben sanno, contenuto come tale nel Codice di Diritto canonico (del 1917, e anche in quello del 1983). Quindi è una legge universale e non può considerarsi malvagia, o in contrasto con il diritto divino, anzi è espressione indiretta di una realtà dottrinale.
Ancora come argomento di autorità, abbiamo la canonizzazione di Papi che abdicarono, come san Ponziano e il ben noto san Pietro Celestino: se il loro atto fosse andato contro una legge essenziale e metafisica, anche in buona fede, non avrebbero certo potuto essere infallibilmente proposti alla venerazione di tutti i fedeli come esempio e modello di virtù eroiche.
La ragione metafisica e teologica di questa possibilità per tutti i Papi è il fatto che il Papato è un accidente (un potere di governo universale non permanente, infatti ognuno concorda che si perde alla morte) infuso direttamente da Dio in un soggetto designato dall’elezione legittima (causa materiale) e l’accettazione della medesima (causa formale). Il ritiro volontario dell’accettazione, cioè di un atto personale e volontario, dissolve il soggetto-Papa esattamente come la morte. L’unica eccezione secondo i teologi sarebbe stata quella di san Pietro, che non era divenuto Papa per accettazione dell’elezione ma direttamente per volontà del Cristo. Il Papato non è un carattere sacramentale o una qualità connaturale permanente, quindi tale qualità metafisicamente si può scindere dal soggetto in cui si trova, allo stesso modo con cui si è unita al medesimo: mediante un atto volontario.
In quanto revoca di un atto personale, l’abdicazione sarà dunque valida purché volontaria, anche se estorta con timore grave o violenza o inganno, e anche senza buoni motivi (in tal caso potrà essere moralmente discutibile, ma canonicamente legittima): la sola volontarietà è richiesta, come affermano Coronata e Cappello. Per la liceità morale sono richieste cause gravissime. Queste condizioni sono semplicemente quelle che fanno definire volontario qualsiasi atto (coacta voluntas voluntas est: solo la vis absoluta e il metus tollens usum rations escluderebbero il volontario).
Come si intuisce dunque, non si può parlare di Antipapi in seguito a una legittima abdicazione.


[1] Il testo latino qui.

giovedì 7 marzo 2013

PER UNA INUTILE RICONCILIAZIONE


Apprendo da alcuni blogs la vicenda del “famoso” libro del GREC1 intitolato “per la necessaria riconciliazione”.

Questo testo, che io non ho letto, non m’interessa, che sembrerebbe esistere, anzi esiste, non può essere però smentito e parla di alcuni incontri “discreti” di alcuni membri della FSSPX con altre persone riguardo il concilio vaticano II e la sua interpretazione al fine di ricomporre la frattura fra Roma e la frangia tradizionalista.

Ora mi sovvengono a riguardo alcune  considerazioni.

Se la riconciliazione è con Roma intesa come la Santa Cattolica ed Apostolica allora il problema è assai più grave perché significherebbe che la FSSPX è fuori della Chiesa e quindi dovrebbe abiurare tutti gli errori per rientrarvi e così rinnegare tutto ciò che per cui Mons. Lefebvre ha combattuto.

Se non è per il primo caso la riconciliazione è con la roma intesa come uomini componenti la gerarchia ecclesiastica e allora non vedo come si possa farlo senza tradire la Chiesa e tutto ciò per cui si è combattuto fino ad oggi cioè per il ritorno alla Tradizione.

Prendiamo due uomini essi possono essere in accordo in due modi: nella sostanza o per accidens (oggettivo o soggettivo) e questi due modi a loro volta danno due possibilità.

Se consideriamo il primo modo  allora in questo senso non ci si potrà mai riconciliare neanche nel secondo modo, in senso soggettivo, se non per accidens, appunto.

Perché una cosa è o non è; come due che convengono su due cose diverse solo perché sono rosse.

Mentre se si è d’accordo oggettivamente lo si è anche soggettivamente e in disaccordo solo per accidens come due che convengono su una cosa ma non sul fatto che sia meglio rossa.

L’accordo con roma attualmente si baserebbe sul primo modo visto che l’oggetto di cui si parla (la Tradizione) è diverso e per accidens ci si accorda sul soggetto (il Magistero vivente).

Ed è in maniera evidente che questa è la posizione della dirigenza della FSSPX e non potrebbe essere altrimenti perchè in questo caso necessariamente saremmo nel secondo modo, il che vorrebbe dire che essi sarebbero in accordo sull’oggetto che è la Tradizione (per i modernisti vivente) e dunque verrebbero a cadere i contrasti che fin qui hanno “separato” le due parti.

Mentre è evidente che la posizione di Mons. Lefebvre era intesa verso il secondo modo.

Chi lo dice?

Mons. Lefebvre!

Mons. Lefebvre il 2 Giugno 1988 scrisse così a Papa Giovanni Paolo II: ”essendo evidente che lo scopo di questa riconciliazione non è lo stesso per la Santa Sede e per noi, crediamo sia preferibile attendere un tempo più propizio per il ritorno di Roma alla Tradizione.”

Infatti, tralasciando il Roma in maiuscolo, intendeva senza ombra di dubbio il ritorno degli uomini di Chiesa alla dottrina cattolica (oggetto) perché una riconciliazione umana (magistero vivente) era, non solo impensabile, ma inutile.

“il ritorno di Roma alla Tradizione.”

Tornare a roma riconciliandosi con roma non vuol dire tornare nella Chiesa altrimenti, come abbiamo detto, significherebbe oggi esserne fuori.

Se si è d’accordo con l’attuale gerarchia non si è d’accordo con la Chiesa.

Se l’attuale gerarchia è la Chiesa non si è dentro la Chiesa.2

Tertium non datur.

Ma che questa ridicola idea della necessaria riconciliazione sia tale lo esprime poche righe oltre proprio Mons.: “Noi continueremo a pregare perché la Roma moderna, infestata di modernismo, ridiventi la Roma cattolica e ritrovi la sua bi-millenaria Tradizione. Allora, il problema della riconciliazione non avrà ragione d’essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza.

Perché?

Ma è chiaro!

Perché se si è d’accordo sull’oggetto (il deposito della Fede immutabile) si è d’accordo anche soggettivamente (magistero vivente) ed in disaccordo solo per accidens!3

Con chi si deve riconciliare un qualsiasi vero cattolico?

Trovare un qualsiasi accordo è senza dubbio contro la volontà di Mons. Lefebvre che lo intendeva basato sull’essenza non sugli accidenti, cioè sulla fede e non sulla fede degli uomini che vorrebbero rappresentarla ed è senza dubbio deleterio accordarsi con gli uomini, poiché ciò implica necessariamente non accordarsi con Dio e la sua Chiesa bi-millenaria per entrare nella loro chiesa.

Mons. Lefebvre voleva che roma si accordasse con la FSSPX che era nella Chiesa, non in quanto FSSPX ma in quanto fedele alla fede Cattolica (oggetto), come del resto con tutti quelli che sempre hanno mantenuto la fede non viceversa.

D'altronde gran parte di questa gerarchia deve riconciliarsi con tutti i fedeli non in quanto uomini ma in quanto cattolici appartenenti alla Chiesa sotto i vincoli di Fede, Speranza e Carità ma principalmente col suo capo che è Cristo.

Ricordo poi a quelli che potrebbero sollevare obiezioni che l’infallibilità non è del soggetto che la esprime ma dell’oggetto che gliela conferisce!

Il teologo Albert Lang, commentando lo studio fatto sui luoghi teologici di Melchior Cano dice infatti:

"la Sacra dottrina viene annunziata dalla Chiesa perchè è rivelata e non è rivelata perchè l'annuncia il Magistero della Chiesa".

Del pericolo di una riconciliazione per accidens ne riparleremo.

Forse

 

 

                                                                                                                      Stefano Gavazzi

 

 

NOTA:

1 Le Groupe de Réflexion Entre Catholiques (GREC), Nouvelles Editions Latines, Parigi.

2 Non si discute qui dell’ appartenenza al Corpo Mistico sappiamo che fanno parte di questo corpo Santi e peccatori.

Non si voglia in questo modo arrivare a conclusioni sedevacantiste cosa totalmente esclusa e riprovata dal sottoscritto.

Il mistero dell’iniquità è tale che è difficile capire totalmente una tale situazione ognuno si fa un’idea perché è nella natura dell’uomo scoprire le cause di ogni effetto.

Tutto è valido se non si toccano le certezze, il sedevacantismo purtroppo intacca di per sé alcune verità rivelate.

Personalmente io ho la mia idea e pur non essendo una verità assoluta, non potrebbe essere altrimenti, non va ad intaccare alcun dogma.

3 Su aspetti discutibili o marginali o non ancora definiti come può essere credere che San Giuseppe è in cielo  in anima e corpo glorioso, io per esempio lo credo ma ciò non mette a rischio la mia salvezza se fosse il contrario.

venerdì 1 marzo 2013

CHI PENSA A DIO?


 
Così fanno al presente molti cristiani; uccidono le loro anime, perdendo la grazia di Dio, per rispetto umano di piacere con ciò agli amici del mondo. Oh quanti miserabili ne ha mandati all'inferno questo gran nemico della nostra salute, il rispetto umano! Di ciò voglio oggi parlarvi, anime fedeli, affinché ve ne guardiate quanto più potete, se volete servire a Dio e salvarvi. (Sant’Alfonso Maria De Liguori sermone XXVII Domenica VI dopo Pasqua)
 

 

            Il Card. Ratzinger se n’è andato, la sede è vacante, leggo e ascolto di pianti e lacrime, di ringraziamenti ma pochi, anzi pochissimi pensano a Dio.

Pochissimi pensano a difendere i diritti di Dio, violati, calpestati, aggirati in nome di uno sconfinato rispetto umano.

Da più di 50 anni assistiamo a ripetute offese verso Dio1 ( lo disse la Madonna a Fatima non io)  attraverso ecumenismo, giudaizzazione e protestantizzazione dell’unica vera Fede, tutto questo proprio anche da coloro che sono o erano i vicari di Cristo.

Perché non ricordiamo, anche dell’ex Benedetto XVI  delle offese arrecate a Dio per esempio nella reiterazione dello scandalo d’Assisi?

Non ricordarlo è un’offesa a Dio che viene prima di ogni uomo e prima di ogni Papa, che, lo ricordiamo, per quanto costituito in grandissima dignità, è pur sempre un uomo.

Chi ha pensato a Nostro Signore Gesù quando abbiamo visto Benedetto XVI convenire periodicamente  con il B’nai B’rith e con la combriccola del popolo deicida?

Chi ha pensato a Dio quando si è fatto conciliabolo con i seguaci dell’assassino della fede tal lutero?

Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». (Mt 16;23)

 

Non giudico la persona, come potrei farlo, ma i suoi atti.

A tutti i buoni che incensano l’uomo e mettono da parte Dio, per piacere ad essi e non a colui che li ha creati lascio parlare Cornelio a lapide:

 

Quale atto più servile che quello di ridurre e di costringere se medesimo alla necessità di conformare la propria religione al capriccio altrui? di praticarla, non più secondo le norme del Vangelo, ma secondo le esigenze degli altri? di non adempiere i propri doveri, se non nella misura voluta dal mondo? di non essere cristiano, se non a talento di chi ci vede?........ E noi, per evitare le censure degli uomini, per una vile dipendenza dalle vane usanze e dalle massime corrotte del secolo, noi disonoriamo quello che professiamo, profaniamo quello che riveriamo, bestemmiamo, se non con la bocca, con le 2opere, non già, come diceva l'Apostolo, quello che ignoriamo, ma quello che sappiamo e riconosciamo………Ora, il fare così non è un rendersi schiavi, e proprio in quello in cui siamo meno scusabili, perché si tratta dell'anima e dell'eternità?... Nati liberi, tali dobbiamo inviolabilmente mantenerci per Iddio, cui si deve culto, fede, rispetto, adorazione, riconoscenza, amore...

 

E ancora

 

La notte della Passione del Salvatore, la portinaia della casa di Caifa, disse a Pietro: « Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo? ed egli rispose: No» (IOANN. XVIII, 17). Ecco la debolezza vigliacca del rispetto umano. Qui si é avverato, come si avvera sempre in simili casi, quel detto dei Proverbi: « Chi teme l'uomo, non tarda a cadere» (Prov. XXIX, 25); e quell'altro del Salmista: «Non invocarono il Signore; quindi tremarono di spavento dove non c'era punto nulla da temere» (Psalm. LII, 6). La persona che si lascia vincere dal rispetto umano, teme quello che non è da temere, e non teme quello che bisogna temere... Che viltà, per esempio, non osare dimostrarsi cristiano per un semplice segno di croce! Il segno del cristiano non è forse la croce………..Colui che ne è schiavo, non merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo...Una tale persona è sommamente spregevole... Che cosa è che la trattiene? un motto, un sarcasmo, una beffa, un segno... Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore! Ne arrossiamo noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l'animo di superare simili bagattelle!... Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa fiacchezza, questa viltà, ma invano... Noi temiamo le censure del mondo, degli increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti... Noi temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si burla di noi? quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù?.. E noi osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso?
Codardia odiosa è il rispetto umano. Noi apparteniamo a Dio per tutti i titoli, per la creazione, la redenzione, la santificazione, la conservazione, e arrossiamo di servire Dio……… noi arrossiamo di ciò che forma la gloria degli Apostoli, dei martiri, dei dottori, dei pontefici, dei confessori, delle vergini. Noi abbiamo vergogna di chiamare Dio nostro padre, di essere suoi figli, di lavorare alla nostra salute, di andare al cielo! Quale stupidaggine e follia! o codarda debolezza, che non merita né indulgenza, né perdono!

 

Di più

 

Primo disordine del rispetto umano: distrugge l'amore di preferenza che dobbiamo a Dio, il che è un annientare tutta la religione. Sacro dovere di ogni persona è preferire Dio alla creatura; ora, il rispetto umano fa anteporre la creatura al Creatore; e da ciò appunto questo vizio prende il suo nome che è disonorante come lo stesso vizio. Perché, infatti, lo chiamiamo rispetto umano? certamente non per altro motivo, se non perché ci fa preferire la creatura in vece del Creatore, Da un lato mi comanda Iddio, dall'altro mi comanda il mondo; ed io per non dispiacere alla creatura, a lei obbedisco a scorno di Dio e a detrimento della mia salute; con disprezzo di Dio e dei miei più sacri doveri... Per piacere all'uomo, divengo ribelle a Dio. E allora, addio religione..
Secondo disordine del rispetto umano: getta l'uomo in una specie di apostasia. Quante irriverenze nel luogo santo, per paura di comparire ipocrita o bigotto!... L'altare non diventa, forse, per lo schiavo del rispetto umano, l'ara del Dio sconosciuto?.. non è anzi da lui disprezzato, disonorato, rinnegato? Gli Ateniesi onoravano il vero Dio senza conoscerlo; costui conosce il vero Dio, e lo dimentica, lo vilipende...

Cosa dunque avrà pensato Dio nel vedere gli uomini da Lui deputati alla salvezza delle anime rendere omaggio a giudei, protestanti, animisti, buddisti, maomettani contro la sua volontà.

Non è forse questo rispetto umano?

Quando tutti noi torneremo a mettere in prim’ordine il Creatore piuttosto che  le creature?

Non è questo che ha fatto l’attuale gerarchia ecclesiastica, papi compresi, dal concilio vaticano II ad oggi?

Chi può smentirlo?

Pensiamo a Dio per le cose che gli sono state fatte e non agli uomini.  

Ed è lo stesso rispetto umano che fa lodare, osannare, commuovere, ringraziare, piangere e santificare2 l’ex papa Benedetto XVI.

Non me la sento: penso a Dio.

 

 

Che Dio ci perdoni!


 

NOTE:

1 Non mi sottraggo alla grave colpa  di aver così a lungo partecipato a tali offese, sono un peccatore, ma “mi pento di averVi offeso, non permettete ch’io vi offenda più, fate ch’io sempre v’ami e poi disponete di me come vi piace” (Via Crucis di Sant’Alfonso)

2 In un blog che si dichiara “tradizionalista” leggo in un commento su Benedetto XVI:”…di una santità intensa e trasparente”.Rispetto umano!